L’ambone è uno dei punti nevralgici della celebrazione eucaristica, dal momento che in questo luogo sacro viene proclamata la parola di Dio.
Per questo risulta collocato nel lato sud della navata dove il sole raggiunge la massima luminosità.
La parola proclamata infatti ha il potere di vincere sulle tenebre e sulla morte. L’ambone, il cero pasquale e il fonte battesimale, nelle chiese normanne, costituivano un unico monumento dedicato alla Resurrezione.
In particolare, il fonte, che rappresentava la rinascita, prendeva posto al di sotto dell’ambone, mentre il cero, che simboleggiava la luce, accanto a esso che si configurava come il sepolcro vuoto.
L’ambone del duomo di Cefalù risale al XII secolo precisamente all’epoca in cui iniziarono i lavori del nuovo progetto, quindi dal 1145. Orientativamente, a livello stilistico, si colloca tra quello della Cappella Palatina e quello datato 1160/70 del Duomo di Salerno.
Durante l’episcopato di Francesco Gonzaga, nel 1587, l’ambone fu smembrato e alcune parti furono reimpiegate all’interno del Duomo o addirittura accantonate.
I plutei furono murati all’ingresso del presbiterio, mentre altri furono reimpiegati nell’ornamento della sede episcopale e della sede regia. L’aquila venne murata all’ingresso del Seminario e identificata, col tempo, come la colomba dello Spirito Santo.
Le colonne con i rispettivi capitelli furono poste a reggere le cantorie, quella posta a nord e quella posta a sud, dove prendevano posto gli organi battenti a canne.
Attualmente sono stati recensiti, restaurati e studiati circa duecento elementi costitutivi l’ambone, che sono collocati nella navata sud in attesa di una possibile e sperata riconfigurazione.
Secondo una ricostruzione, la loggia poggiava su sette colonne, come la casa della Sapienza, con capitelli decorati da elementi vegetali con palme e foglie d’acanto e sette plutei decorati a mosaico con motivi geometrici.
L’ambone era diviso in tre zone, la parte dei Salmi, la zona delle Scritture e quella del vangelo, dove era posta l’aquila marmorea che, ad ali spiegate, fungeva da leggio, a memoria dell’evangelista Giovanni.