Per volere dei Siciliani, presso i quali qualche anno prima si era distinto come ottimo questore di
Lilibeo
, Cicerone tornò in Sicilia e sbarcò ad Eraclea, dove fu accolto da una popolazione che chiedeva giustizia per le malefatte subite. Nonostante il caso di pessima amministrazione pubblica per cui si scagliò agguerritamente contro Verre, nelle Verrine emerge chiaramente la convinzione di Cicerone che il governo di Roma fosse la cosa migliore che potesse accadere alla Sicilia.
Effettivamente, una volta diventata Agrigentum, la città andò incontro a un periodo che, seppur disturbato da conflitti minori nel corso degli anni, ne consentì lo sviluppo economico e culturale.
Gli agrigentini, definiti nell’opera come fortissimi viri, diligentissimi aratores (coltivatori valorosi e diligenti), vivevano pacificamente nella loro città insieme ai numerosi cittadini romani che vi si erano stabiliti in seguito. Sebbene il crogiuolo di culture, ivi instauratosi, fosse quindi molto variegato, il corpo civico della città era molto coeso, e la parte greca della popolazione, custode delle memorie avite, veniva tenuta tanto in considerazione da assegnare la maggioranza dei seggi in senato agli antichi abitanti della polis. A conferma di questo fatto, nei testi delle Verrine spicca il racconto del tentativo di Verre di rubare la statua del dio
Ercole
dall’omonimo tempio, e la corale reazione dei cittadini che, tutti insieme, una volta ricevuto l’allarme, si attivarono per evitare la spoliazione dell’edificio sacro.