In età imperiale, intorno al III secolo d.C., le case di Agrigentum vissero un periodo di splendore e prosperità in cui vennero ampliate e rinnovate con finissime decorazioni a mosaico in bianco e nero o policromo che, gradualmente, sostituirono la tecnica più antica, dell’
opus signinum
.
Gli esempi più raffinati e meglio conservati sono stati rinvenuti nella Casa delle Svastiche, che presenta tappeti musivi a motivi floreali, zoomorfi e geometrici; nella Casa del Mosaico a Rombi, con una serie di rombi in prospettiva; nella Casa del Maestro Astrattista, con un
opus sectile
che imita un pavimento a segati di marmo; e nella Casa della Gazzella, da cui deriva il famoso emblema della gazzella realizzata con
opus vermiculatum
, oggi custodito al Museo Archeologico Regionale Pietro Griffo. La grande quantità e ricchezza di questi reperti consente di percepire la disponibilità di ingenti risorse su cui gli agrigentini potevano contare.
Per comporre i mosaici, infatti, servivano generalmente quattro persone diverse e specializzate, che lavoravano insieme per dare vita, tassello dopo tassello, ai meravigliosi mosaici che ancora oggi possiamo ammirare.
La tecnica prevedeva la collaborazione del pictor imaginarius, che elaborava il disegno della decorazione; del pictor parietarius, che copiava il disegno su un supporto e lo trasferiva sul cemento attraverso dei fori spennellati poi con polvere di cartone; del lapidarius structor, che rompeva le pietre in piccoli frammenti; e del pictor tessellarius, che sistemava le tessere sul cemento.