Nell’antica Roma, gli dei non erano le uniche entità venerate dai cittadini.
Mentre era in vita, già Giulio Cesare aveva provato ad istituire il culto dell’imperatore, ma il perfezionamento della liturgia avvenne solo con la proclamazione di Ottaviano in Augusto nel 27 a.C., la cui venerazione è testimoniata in Agrigentum da alcune basi marmoree con iscrizioni dedicate ai suoi figli adottivi, Lucio Cesare e Gaio Cesare.
Grazie alle iscrizioni si può supporre la presenza, nella città, di
flamines
e Augustales, rispettivamente i custodi della sacra fiamma e i sacerdoti del culto dell’imperatore. Gli Augustales, in particolare, avevano una carica di durata annuale e dopo l’incarico continuavano a conservare il titolo: formavano quindi una vera e propria casta, composta da sei persone in carica nei municipi dell’Impero, status che Agrigento aveva raggiunto nel 22 a.C. durante il riassetto della Sicilia da parte di Augusto.
Il culto prevedeva la venerazione del
genius
dell’imperatore mentre era ancora in vita – per la maggior parte dei cittadini romani, infatti, era difficile concepire l’adorazione verso una persona ancora vivente – seguita poi dalla deificatio, l’atto con cui il senato proclamava la divinizzazione dell’imperatore dopo la sua morte, che dava inizio alla venerazione religiosa in senso stretto, con l’istituzione di festività nel giorno di nascita dell’imperatore e l’edificazione di templi in suo onore.