La leggenda dei ciclopi ha varie versioni, già nell’antichità, come narrato da Omero che li classifica come giganteschi esseri selvaggi, dediti alla pastorizia, o anche da Esiodo che li identifica come i Titani, figli di Urano e di Gea. La tradizione più comune considera i Ciclopi come giganti, assistenti di Vulcano, nelle fucine poste sotto l’Etna.
Tutte le varianti hanno in comune la presenza di un solo occhio nella fronte, con alcune variabili come terzo occhio.
Il termine ciclope significa occhio rotondo e questo li può assimilare alla presenza di una antica congrega di fabbri, che avevano tatuato come segno distintivo un cerchio in fronte, in onore del sole, fonte di calore.
In alcune narrazioni ritorna l’accostamento ai fabbri, in quanto questi avevano l’abitudine di coprire un occhio con una benda e i ciclopi venivano descritti a volte come monocoli.
Recenti studi di paleontologia hanno messo in connessione il mito dei Ciclopi con la ritrovata presenza di resti di elefanti nani in territorio siciliano, sul’Etna.
Dai ritrovamenti sono emersi crani più grandi di quelli umani, in cui, al centro, si ritrovava un buco, corrispondente all’attacco della proboscide che poteva dare la suggestione dell’orbita di un solo occhio.
I viaggiatori che, in antico, ritrovarono questi teschi hanno potuto tramandare e diffondere storie fantastiche ipotizzando, in questi resti, i teschi di giganti monocoli.
La rappresentazione di Polifemo nei mosaici della Villa del Casale si presenta ancora in modo diverso, per la raffigurazione del ciclope con tre occhi, il terzo posto al centro della fronte.
La composizione della scena, in cui il bordo dell’antro di Polifemo appare come un drappeggio sollevato, ha fatto supporre che l’illustrazione riproduca una rappresentazione teatrale, con l’attore, che impersona Polifemo, ritratto con un terzo occhio posticcio, posto sulla fronte.