Gli studi iniziati nel 1972 permisero di effettuare un rilievo puntuale di tutta la fabbrica per valutarne consistenza e affidabilità alle tecniche di restauro allora ipotizzate. Il cantiere fu avviato alla metà degli anni 70 del secolo scorso e, con alterne vicende, i lavori durarono circa 15 anni.
Il crollo e precedenti interventi, non appropriati, provocarono purtroppo la perdita di documenti essenziali per potere conoscere la storia dell’edificio, fino ad allora soltanto oggetto di trasformazioni, secondo l’uso del tempo, a partire dal XVII secolo, con giustapposizioni o sovrapposizioni che in qualche maniera ne hanno alterato la consistenza, distribuzione e l’immagine originaria.
L’ala crollata aveva inferto una grave ferita al palazzo, pregiudicando la staticità dell’intero complesso.
La ricostruzione seguì il criterio filologico per il recupero delle strutture e degli spazi basandosi sul disegno e sulla composizione della ala superstite del palazzo. Come materiali furono impiegate strutture miste con
pietra tufacea
, il più possibile recuperata dagli elementi originali sopravvissuti al crollo, integrando la parte ricostruita con mattoni pressati e voltine in cemento.
Intervento eseguito in ossequio alla cultura del restauro del momento, che privilegiava la differenziazione materica e cromatica dell’intervento, aspetto ritenuto risolutivo per non creare situazioni di confusione interpretativa, tra la parte originaria e la parte oggetto dell’intervento.
La tecnica più importante, usata per garantire solidità all’edificio, anche in considerazione del recente evento sismico, fu quella della tirantatura interna alla muratura.
Fu così realizzato un reticolo verticale e orizzontale, con una serie di barre in acciaio, piastrate sul cordolo terminale la costruzione che, perforando in lunghezza tutta la muratura, vennero poi ancorate al suolo con un bulbo di aggancio. In modo analogo fu eseguito il consolidamento orizzontale, con maglie regolari di tiranti fermati con piastre alle estremità.
La ricostruzione permise di recuperare l’originario volume e il partito architettonico dei prospetti della Zisa che, comunque, erano stati già alterati dalle manomissioni barocche e ottocentesche per l’ampliamento dei vani di prospetto e la realizzazione dei balconi.
Anche l’interno era stato alterato per la creazione di collegamenti verticali non congrui, controsoffittature di alcuni vani con l’occultamento delle
volte
originali e la suddivisione degli ambienti per la creazione di appartamenti e altre variazioni che avevano impedito, fino ad allora, la lettura organica del sistema palazzo Zisa.