L’equilibrato sistema dei rigogliosi giardini islamici nella piana di Palermo, con l’avvento del
regno normanno
in Sicilia, mantenne il suo splendore grazie alla presenza di maestranze e architetti arabi, a cui i sovrani affidarono la realizzazione di nuove lussureggianti aree, come scenario alle loro dimore. Un’eredità non solo finalizzata ad un appagamento visivo per la varietà di colore delle specie arboree, come di frutta, che circondavano viali e padiglioni ma, anche, contraddistinta da oasi di pace in cui il tempo veniva scandito dal dolce fluire delle acque che riempivano peschiere, fontane e bacini.
Così come il profilo dei monti cingeva la Conca d’Oro abbracciandola come un monile, allo stesso modo il pellegrino musulmano
Ibn Jubayr
, durante una visita a Palermo tra il dicembre 1184 e gennaio 1185, riprende la metafora della collana che cinge il collo, riferendosi alla disposizione dei
palazzi extra moenia
. Tuttavia, l’immagine della Sicilia “come paradiso terrestre” oltre all’armonia che si poteva percepire osservandone il paesaggio, ben si adattava al pacifico equilibrio sociale che si era instaurato tra sovrano e sudditi al tempo di
Guglielmo II
, ricordato anche da Dante Alighieri nel
XX canto del Paradiso
. In epoca normanna si realizza una sintesi tra la struttura di ascendenza araba del
riyâd palaziale
e l’universo circoscritto dell’
hortus conclusus
nel chiostro monastico.
Le architetture dialogano nei secoli, quasi a voler reinterpretare, con sguardo rinnovato, il cortile interno delle
domus romane
, anticipando i patii delle dimore spagnole.