L’ambulacro della “grande caccia” cattura la nostra attenzione non solo per le sue ampie dimensioni, ma per la ricca narrazione descritta nel mosaico pavimentale, che sembra essere una rappresentazione cartografica dei possedimenti imperiali del tempo e una celebrazione del potere di Roma. Le scene figurate descrivono la cattura e il trasporto di animali feroci ed esotici da esibire negli spettacoli circensi che si svolgevano nell’anfiteatro Flavio.
Dalla Mauritania all’Egitto, fino alle terre lontane dell’Oriente si alternano paesaggi e animali raffigurati tra la presenza di militari cacciatori, servitori addetti alle azioni di trasporto e funzionari preposti a dirigere le operazioni. Nell’episodio che si svolge in Nord Africa, un capretto scuoiato, all’interno di una trappola, è utilizzato come esca per attirare le pantere e, a poca distanza, un leopardo azzanna un’antilope con grande ferocia. Grandi carri come l’angaria, utilizzata nel sistema postale romano, contenevano le belve catturate. In un paesaggio paludoso, forse situato nell’odierna Tunisia, si svolge la caccia al cinghiale. È un quadro vivace interrotto, al di sopra, da un leone a riposo, accovacciato su un grande masso. Nella scena successiva un altro carro trainato da buoi affaticati per lo sforzo racchiude, in casse buie, altri animali forse destinati all’imbarco per lo scalo nordafricano più conosciuto nell’antichità: il porto di Cartagine. I personaggi prendono consistenza alla presenza di ombre sul terreno sempre più definite. Prevalgono colori come il rosso e il marrone e l’impiego di paste vitree. Davanti all’ingresso della Basilica appare l’Italia, la “terra tra i due mari”, mèta di arrivo dei bottini di caccia in cui tre personaggi si distinguono dagli altri per il loro particolare abbigliamento. Di seguito, il movimento impetuoso di un bufalo, trainato a forza su una passerella, colpisce per il suo realismo. Le azioni si succedono con passaggi tonali più netti e diminuisce la varietà dei colori impiegati. Le diverse scene, a nord e a sud dell’ambulacro, sono disposte con ricercata simmetria: caccia, trasporto, imbarco e sbarco di animali. All’interno di un paesaggio che può ricondurci al Delta del Nilo, uomini ed animali si inseriscono in un territorio paludoso o lacustre; per gli spettacoli circensi erano richiesti anche gli animali marini!
Il penultimo tratto della narrazione si snoda in un contesto paludoso. In basso, a sinistra, appare un gruppo di tre figure tra cui spicca il personaggio centrale, dallo sguardo profondo. Forse un militare di alto livello o lo stesso dominus della villa? Gli effetti luministici degli episodi di cattura sono restituiti con una maggiore ricercatezza, attraverso l’accostamento di chiaro-scuri per creare ombre anche nel panneggio delle vesti.
L’episodio finale si caratterizza per la sua composizione dinamica e serrata. Essa ha luogo in Oriente, in un paesaggio schematizzato con la tendenza ad una saturazione dello spazio. Tra gli animali catturati attraverso l’utilizzo di diversi espedienti, c’è anche un grifone, figura mitica con testa e ali d’aquila e corpo di leone. I colori utilizzati, nell’accostamento delle tessere, si riducono con prevalenza del rosso mattone e del giallo.
Chi è quella donna dalla pelle scura e la capigliatura folta e riccia? Essa domina il centro dell’abside sud del corridoio della “grande caccia” e, forse, rappresenta l’Etiopia o l’India a sottolineare il desiderio del committente della villa di raffigurare tutto il mondo allora conosciuto, dall’estremo Occidente all’estremo Oriente, mostrando come il potere di Roma si riflettesse anche in territori così lontani.