Valerio Massimo, storico dell’età di Tiberio, raccontò che durante un’esibizione di gladiatori a Siracusa, Haterius Rufus, cavaliere romano, morì trafitto accidentalmente dalla spada di un gladiatore.
Questo aneddoto è una testimonianza del precoce interesse suscitato dai giochi gladiatori anche in una provincia come la Sicilia, indubbiamente più greca che romana per cultura.
I giochi gladiatori trassero, probabilmente, origine da alcuni riti funerari etruschi, ma diventarono ben presto una forma di puro divertimento pubblico nell’impero romano, e in seguito anche in Sicilia.
I
gladiatori
, il cui nome deriva da gladium, la spada di cui erano dotati, erano di solito criminali, schiavi, prigionieri di guerra o condannati a morte, addestrati appositamente per combattere durante gli spettacoli. La loro posizione era servile ed infamante: i gladiatori erano inseriti all’interno di organizzazioni, dette familiae, gestite da un proprietario che curava il mantenimento e la preparazione al combattimento. Addestrati dai cosiddetti doctores, i gladiatori vivevano nei ludi, delle scuole-caserme con piccole cellette poste attorno ad un cortile.
Accompagnati dal suono di diversi strumenti musicali, gli scontri procedevano tra gli incitamenti del pubblico fino alla caduta di uno dei duellanti. Il gladiatore sconfitto era portato via dagli inservienti, travestiti da Caronte o da Mercurio Psicopompo, per essere poi sepolto senza alcuna formalità.
Mentre il vincitore, tra il tripudio e l’eccitazione degli spettatori, riceveva la palma o la corona della vittoria insieme a vassoi di monete.