Nella parte nord del parco archeologico della Neàpolis si trovano le latomìe, le cave utilizzate in epoca greca e romana per estrarre i blocchi di pietra impiegati per la costruzione di templi e monumenti.
Il loro nome deriva dalla parola greca latomìai, formata dal sostantivo lytos, che significa pietra e dal verbo témnein, tagliare.
A seguito della Seconda spedizione Ateniese del 413 a.C. in Sicilia, una dura e feroce battaglia tra Atene e Siracusa, le Latomìe divennero il luogo in cui furono imprigionati i soldati Ateniesi sconfitti: oltre settemila prigionieri di guerra. Sulle pareti di questi anfratti rocciosi è possibile notare, ancora oggi, alcuni fori a cui probabilmente erano agganciate le catene dei prigionieri, immobilizzati all’interno di questi ambienti inospitali. Essi erano gelidi durante l’inverno e torridi in estate, ed equivalevano per gli schiavi ad una condanna a morte.
La misteriosa suggestione di questi luoghi accese la fantasia di intellettuali di ogni epoca, da
Cicerone
, che definì le Latomìe di Siracusa «opera grandiosa, magnifica, dei re e dei tiranni», a Salvatore Quasimodo, passando immancabilmente per i protagonisti del
Grand Tour
, come il pittore
Jean-Pierre Houël
, per il quale le Latomìe siracusane furono una delle tappe obbligate del viaggio in Sicilia. La più grande e celebre è la Latomìa del Paradiso, adiacente al teatro e all’Ara di Ieróne II. Al suo interno, nel lato nord-ovest, si aprono alcune grotte tra cui l’Orecchio di Dionìsio, una cavità che presenta una curiosa pianta a forma di S e una
volta a sesto acuto
.
Una galleria moderna mette in comunicazione la Latomìa del Paradiso con la vicina Latomìa dell’Intagliatella, dalla quale si accede, tramite un arco nella roccia, alla Latomìa di Santa Venera, particolarmente pittoresca per la sua ricca vegetazione subtropicale. Emergono, dunque, le tracce di una Siracusa sotterranea, che si estende al di sotto della città urbana in superficie.
In questo poetico contrasto, è come se all’oscurità misteriosa della prigionia e della fatica delle Latomìe, corrispondesse l’armonia luminosa e placida delle rovine di antiche civiltà.